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ANCHE IL MARE HA LA SUA STAGIONALITA’

Quando si parla di stagionalità alimentare, tendiamo a prendere in considerazione solo quanto ci viene offerto dalla terra, come frutta e verdura, dimenticando che anche il mare ci fornisce prodotti diversi di mese in mese.
Conoscere la stagionalità dei prodotti ittici non è di secondaria importanza, soprattutto se pensiamo che in una sana alimentazione, si consiglia il consumo settimanale di almeno 2-3 porzioni di pesce.

Quali sono i vantaggi di un acquisto di stagione?

Tra i vantaggi derivanti da un acquisto consapevole, vi sono sicuramente:

  • l’aspetto ambientale: scegliere seguendo la stagionalità e la provenienza locale, infatti, contribuisce ad una maggiore sostenibilità della pesca, minimizzando l’impatto sull’ecosistema marino;
  • l’aspetto economico: l’acquisto di prodotti stagionali permette la riduzione dei costi legati all’importazione, al trasporto e alla conservazione;
  • l’aspetto nutrizionale: il prodotto di stagione è sinonimo di genuinità, di freschezza e di sapore autentico.

Per sapere il pescato disponibile ogni mese, puoi cliccare qui.

Come scegliere?

Il Mar Mediterraneo è un mare ricchissimo di  pesce azzurro, categoria a cui appartengono ad esempio: alici, sardine, aguglie, tonno, sgombro, lampuga, ricciola.
Si tratta di varietà particolarmente ricche di omega 3 e acidi grassi, che hanno effetti benefici sul cuore e sul sistema circolatorio in generale.
Anche la frequenza di consumo ha la sua importanza. Se parliamo di “grandi predatori”, infatti, dobbiamo considerare che pesci come: tonno, spada, verdesca e palombi, per le loro grandi dimensioni, tendono ad accumulare molto più mercurio nei tessuti di quanto facciano le loro prede.
E’ preferibile pertanto il consumo di pesci a ciclo vitale breve e di piccola taglia, poiché meno inquinati da possibili metalli.
Quando acquistiamo controlliamo la provenienza del pesce, evitiamo quello proveniente da mari sud-orientali e zone FAO particolarmente famose per il loro grado di inquinamento (per conoscerle clicca qui).

Pescato o Allevato?

Per rispondere a questa domanda è bene tenere in considerazione quanto precedentemente detto, e pertanto, se da una parte il pesce “allevato” risulta più sicuro in termini di inquinamento, è anche vero che quello “pescato” ha un’alimentazione naturale.
Il suggerimento è quello quindi di prediligere il pescato di piccole dimensioni, e l’allevato se si tratta di pesci predatori.
Tale scelta consente non solo di ridurre l’eventuale consumo di carni potenzialmente contaminate da mercurio, ma anche di contribuire al mantenimento dell’ecosistema marino, spesso danneggiato dalla caccia sconsiderata proprio verso i “grandi pesci”.

Qualche suggerimento nell’acquisto

La carne del pesce è molto delicata e si deteriora velocemente. Per questo motivo è importante mantenere la catena del freddo, dalla pesca fino al suo consumo, che dovrebbe avvenire entro le 24h.
Il tipico “odore di ammoniaca”, infatti, si sviluppa a seguito della degradazione della componente proteica ed è quindi indice di un pesce non fresco.

Come riconoscere la freschezza del pesce?

  • L’occhio deve essere turgido e lucido, così come la pelle;
  • l’odore deve essere di mare e alghe. Odore di ammoniaca è segnale di deterioramento della carne, mentre odore di cloro è indice di truffa;
  • se eseguite una digito pressione, la superficie deve essere elastica e non molle;
  • se tenuto in orizzontale il pesce non dovrebbe afflosciare, altrimenti si tratta di pesce non fresco o scongelato;
  • se scegliete il salmone affumicato fidatevi del produttore che riporta il tipo di affumicatura eseguita. A tal proposito, il salmone è un pesce che vive a temperature basse, trattandosi generalmente di un prodotto di allevamento è preferibile pertanto scegliere quello allevato nei mari freddi.

Per alcune idee su come utilizzarlo, consulta la sezione “Ricette” del blog !

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ZUCCA REGINA D’AUTUNNO

Tra le verdure di questa stagione, la regina indiscussa è da sempre la zucca.

Si tratta di un alimento appartenente alla famiglia delle Curcubitacee, le cui origini sono ancora oggi incerte.

L’arrivo in Europa di questo alimento avvenne solo dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, che ne portò in Italia diverse varietà. Tra le più conosciute troviamo la Cucurbita maxima e la Cucurbita moschata.

E’ spesso utilizzata anche a scopo ornamentale (non commestibile), ma si tratta in realtà di un prodotto molto versatile in cucina, grazie alla notevole biodiversità che la contraddistingue.

Può essere adatta alla preparazione di primi piatti, ma anche di contorni e dessert, utilizzandone la polpa, i semi (che vanno tostati) o i germogli.

Dal punto di vista nutrizionale, nonostante presenti un interno “polposo”, che ricorda quello amidaceo della patata, si tratta di una verdura a tutti gli effetti: contiene infatti circa il 95% d’acqua e il 71% di carboidrati.

Questo suo contenuto in carboidrati non deve però confondere !

L’apporto calorico su 100g di prodotto è di sole 20 Kcal, di cui il 71% è rappresentato da 3,5g di carboidrati.

Contiene inoltre un buon apporto di sali minerali (calcio, potassio, sodio, magnesio, fosforo) e vitamina E, antiossidanti importanti come i “caroteni” (utili alla produzione di vitamina A), una buona quota di aminoacidi e una discreta quantità di fibre (200g di zucca soddisfano il 4% del fabbisogno giornaliero).

Nei semi è contenuta la “curcubitina”, una sostanza utile a contrastare patologie dell’apparato urinario sia maschile (prostata) che femminile (cistite).

Alla zucca vengono, infatti, riconosciute proprietà diuretiche e calmanti (utile per chi soffre d’insonnia), nonché valida alleata nel benessere della pelle.

La zucca alza la glicemia?

Per rispondere correttamente a questa domanda è importante fare alcune premesse.

La glicemia è il valore determinato dal quantitativo di zucchero (glucosio) nel sangue, ed è responsabile oltre al diabete di numerose patologie correlate.

Per determinare la risposta glicemica ad un alimento, devono essere presi però in considerazione altri due parametri:

  • l’indice glicemico, ovvero i valori di glicemia riscontrati a seguito dell’assunzione dell’alimento, senza tenere in considerazione della quantità consumata (che in questo caso resta pari a 75 sia che si consumino 100g o 200g di zucca)
  • e il carico glicemico, ovvero il valore che risulta dalla moltiplicazione dell’indice glicemico per la quantità di carboidrati assunti, diviso per la quantità di alimento consumato.

Nel caso della zucca, l’ indice glicemico è pari a 75 su una scala massima di 110, quindi molto alto, ma il carico glicemico è basso (per valori fino a 10), poiché:

75 (indice glicemico) x 3,5 (che sono i grammi di carboidrati presenti in 100 g di zucca) diviso 100 g = 2.65.

Essendo un ortaggio dal gusto dolce, è comune credere che non sia adatta al consumo in caso di diabete e sovrappeso.

Nulla di più errato, come dimostrato da uno studio del 2007 svolto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Massachusetts e pubblicato sul Journal of Medicinal Food, la zucca possiede proprietà antidiabetiche.

In un studio più recente, del 2018, la polpa di zucca è stata addirittura utilizzata, oltre all’insulina, su pazienti diabetici ricoverati in terapia intensiva con ottimi risultati (puoi approfondire i risultati ottenuti qui).

Contrariamente a ciò che si pensa, la zucca può essere pertanto consumata alla pari di altri ortaggi. La porzione consigliata per un adulto è di 200-300g, come per le altre verdure.

Per alcune idee su come utilizzarla consulta la sezione “Ricette” del blog !